giovedì 30 marzo 2017

Arrival

Ogni tanto riesco a inserire qualche film recente. Arrival è uscito in Italia alla fine del 2016, per cui per i miei canoni è recentissimo.
"Perché sono venute qui?" ci si chiede, vedendo quelle mandorle giganti che riempiono per intero la locandina e sono scese in dodici punti della terra, rimanendo sospese nel nulla, in attesa.
Questa, senza tanti fronzoli, è la trama. Il film si svolge... oggi. Gli umani sono quelli che vivono sul pianeta Terra oggi, con tutte le divisioni che conosciamo. Senza sapere perché, degli alieni abbastanza evoluti da riuscire a viaggiare fra le stelle hanno deciso entrare in contatto con noi, ma lo fanno in uno strano modo. Entrano in casa nostra e aspettano che siamo noi a dir loro qualcosa. Chi siete? Cosa ci fate qui? In che lingua vi dobbiamo parlare? Qual è il davanti delle vostre astronavi? Da dove si entra?
Ogni Nazione che ospita una mandorla gigante aliena cerca di entrare in contatto con i nuovi venuti, ciascuno coi mezzi che ha. Qui seguiamo i tentativi degli Stati Uniti, che, ovviamente, saranno gli unici in grado di riuscire nell'intento. Ma ormai lo sappiamo, i film li fanno loro e vogliono decidere loro.
A gestire le operazioni è il colonnello Weber (Forest Whitaker), perché, ovviamente, il tutto è in mano all'esercito, anche se è chiaro che coloro che stanno dentro le mandorle, se vogliono, ci possono polverizzare. Weber chiama due geni, l'esperta linguista Luoise Banks (Amy Adams), che in passato ha più volte collaborato con l'esercito, che dovrà coordinare una squadra di linguisti con lo scopo di trovare il modo di comunicare con gli alieni e il fisico teorico Ian Donnelly (Jeremy Renner), che facendo parte degli Avengers è abituato a lavorare in situazioni estreme, il quale coordinerà un'altra squadra con lo scopo di fare non si sa bene cosa, ma è un genio e conosce la fisica, qualcosa si inventerà.
Il film procede, molto lentamente, descrivendoci il primo ingresso nell'astronave aliena, i primi tentativi di comunicazione, la scoperta di una nuova lingua talmente aliena da essere diversa non solo come suoni e simboli, ma anche come concezione logica, il tutto intervallato da alcune immagini di Louise con la figlia, prima piccola, poi sempre più grande, fino alla morte per un male incurabile. Non è uno spoiler, lo vediamo già fin dalle prime scene.
Credo che questo sia uno dei film che tratta meglio e in maniera più approfondita il tema della comunicazione. Di quanto questa sia difficile, soprattutto quando i soggetti che devono comunicare, pur volendolo fare, sono molto diversi fra loro. Qui abbiamo degli alieni che sono fisicamente diversi da noi, pensano in modo doverso dal nostro e percepiscono persino la realtà diversamente dagli umani. Sono alieni a tutti gli effetti.
Ma se la comunicazione è il tema fondamentale, altri ne emergono durante la visione del film. Perché questo mondo con cui gli alieni hanno deciso di comunicare è un mondo diviso. Siamo tutti umani, ma questo non significa che siamo tutti dalla stessa parte. Homo homini lupus è la frase che meglio descrive l'umanità. Noi mica ci fidiamo degli altri esseri umani. E così i vari Stati che stanno cercando di entrare in contatto con gli alieni sono in comunicazione fra loro e si scambiano informazioni, per riuscire a trovare il più in fretta possibile un canale, ma il sodalizio è instabile e crollerà già alla prima risposta arrivata all'ovvia domanda rivolta agli alieni: perché siete qui? Il problema è che la risposta viene data in quella loro improbabile lingua e la prima traduzione è "offrire arma". E questo è già abbastanza per far saltare ogni collaborazione fra Nazioni.
Arrival non è solo un film sulla comunicazione e già su questo tema è fatto benissimo, ma è anche una pellicola che vuole trasmettere un messagio di pace, di fratellanza, di collaborazione.
Ci si potrebbe chiedere come mai questi alieni superevoluti, in grado di pilotare delle mandorle giganti e di attraversare l'universo, non siano in grado di trovare loro un modo per comunicare con noi, piuttosto che attendere che siamo noi ottusi e limitati umani a capire la loro lingua. Ma qui c'è l'Ipotesi di Sapir-Whorf (che poi esiste veramente, non è una supercazzola del film) secondo la quale il modo in cui parliamo, la lingua che utilizziamo, è in grado di influenzare il nostro modo di pensare. E in questo sta la chiave del film e del messaggio che gli alieni ci vogliono dare.
Arrival dura quasi due ore, che scorrono via senza intoppi, grazie a un regista che lavora quasi solo sull'essenziale, senza mai alzare troppo i toni, ma riuscendo comunque a trasmettere allo spettatore inquietudine o tensione quando servono.
Villeneuve è un regista attivo dal 1998, ma i suoi film non sono molti e solo negli ultimi anni ha intensificato la sua attività. L'unica sua opera che conoscevo, prima di Arrival, è Prisoners, un delirante e disturbato film del 2013, con protagonisti due intensi Hugh Jackman e Jake Gyllenhall. Si sa che Villeneuve ha diretto il seguito di Blade Runner, la cui uscita è prevista per la fine del 2017 e la cosa un po' mi rincuora. Se da un alto temo che sia impossibile realizzare un sequel valido di un tale capolavoro, il fatto che sia diretto da un buon regista mi lascia qualche speranza.
Un plauso anche ad Amy Adams, bravissima nell'interpretare il personaggio attorno cui gira l'intero film. Anche Jeremy Renner non sbaglia nulla, ma il suo personaggio ho molte meno occasioni per mettersi in mostra.
Arrival è costato meno di 50 milioni, pochi per essere un film di fantascienza, ma non pochissimi e ne ha incassati in tutto quasi 200, tanti, considerando che si tratta di un film fin troppo serio.
Da vedere per chi ama la fantascienza.

2 commenti:

  1. Ed eccomi qui.
    Ti consiglio vivamente di recuperare Villeneuve, che ha sfornato quasi solo grandi film, Arrival compreso. :)

    Ho adorato la battuta su Jeremy Renner e gli Avengers. ;)

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  2. Grazie per il passaggio.
    Come ho scritto, di Villeneuve conoscevo solo Prisoners.
    Vorrei recuperare Enemy

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